a tutti… amici lettori di questo nuovo spazio che gentilmente la Forneria Salvetti di Malonno ha messo a mia disposizione per informarvi sugli usi, i costumi e le tradizioni dell’arco alpino.
Nello specifico vi proporrò tappa dopo tappa calendariale, degli approfondimenti sui riti e le cerimonie relative specialmente al nostro territorio della Valle Camonica, spaziando però mediante confronti e similitudini nel mondo dei miti e coltivati anche dalle genti ad esempio dell’antica Roma e delle popolazioni della Grecia antica.
In occasione della fine del Carnevale, delle celebrazioni del Carnevale Vecchio e della ricorrenza del giovedì di mezza Quaresima sempre inerente il clima d’allegra vitalità caratterizzante questo momento forte del ciclo dell’anno, desidero proporvi un parallelismo fra due leggende molto antiche proveniente da due luoghi molto lontani fra loro e cercare di spiegare qualcosa in più rispetto all’origine appunto del nome “Carnevale”. Il tutto farcito di richiami alla natura, ai campi e al grano.
Affinità fra il mito di Dionisio e una leggenda della Valle Camonica
Nell’antichità, in Asia ed in Egitto si rappresentavano i cambiamenti delle stagioni con episodi della vita degli dei. In pratica si celebravano questi passaggi con riti drammatici e giubili coincidenti con la morte e la felice rinascita della vegetazione.
Anche in Grecia si poneva molta attenzione all’evolversi delle stagioni e così come anche lo stesso dio Dionisio o Bacco, moriva e risorgeva in tal modo si comportava il ciclo della vegetazione nell’arco del ciclo solare.
Dionisio, divinità dell’agricoltura e del grano, veniva chiamato “dell’albero”, il “fecondo e il germogliante”. Egli stesso lavorò come agricoltore e si narra che fu il primo ad aggiogare i buoi all’aratro che in precedenza veniva tirato solo a mano. Per questo motivo egli si presentava ai suoi adoratori, secondo la tradizione, in forma bovina.
In seguito alla sua morte, venne portato in vita. La rappresentazione di Dionisio è sovente caratterizzata da una forma animale specialmente di toro, munito di corna, o di capra dal colore nero. Lo stesso spirito del grano è comunemente concepito in forma animale.
Col progredire dei secoli e del pensiero gli dei come Dionisio, vennero gradualmente spogliati dagli attributi bestiali e si valorizzarono i loro riferimenti umani.
Molto interessante risulta il parallelo riscontrabile fra il mito di Dionisio e quello proprio della Valle Camonica inserito nella leggenda della “resurrezione delle ossa di un bambino”. Dionisio viene fatto a pezzi dai titani, sotto forma di Toro ed innalzato a nuova vita da Giove. Il bambino camuno invece subendo la stessa fine per opera di sua madre-strega verrà riportato in vita dalla “Donna del Gioco”. Dietro questi comportamenti potrebbe nascondersi l’antica usanza di sacrificare dei re umani dai caratteri dionisiaci, e di disperdere i loro corpi lacerati sopra i campi allo scopo di fecondarne la terra.
I Lidi celebravano feste in onore a Dionisio in Primavera in quanto si credeva che il dio portasse la nuova stagione. La divinità della vegetazione che si credeva passasse sotto terra parte dell’anno diveniva così anche nume tutelare dei morti in generale e tanto Dionisio come Osiride vennero concepiti con tali attributi.
Credenze precristiane inerenti la resurrezione o almeno l’immortalità che aiutano a provare come tale sentire possa essere entrato nei rituali di rinascita primaverile, che contemplano appunto la morte e la resurrezione della natura.
L’origine del nome Carnevale legata alla terra
Secondo l’interpretazione più diffusa il nome Carnevale deriverebbe dal latino “carnem levare” nel senso di “levare la carne”.
Ma vi è in merito una seconda teoria ( cfr. C. Merlo, I nomi romanzi del Carnevale, tr.; C. Tagliavini, Storie di parole cristiane e pagane attraverso i tempi, Morcelliana, 1963) che si basa sulle origini stesse di questo tempo calendariale basate sul desiderio dell’avvento d’abbondanza e fertilità, specie delle messi e dei raccolti legati alla cultura dei cereali.
Forse quindi la prima derivazione da “togliere la carne” legata agli insaccati di maiale è un prodotto della constatazione più che l’elemento d’origine che possiamo invece riferire a cibo si ma legato più direttamente alla lavorazione della terra.
“Arvum” in latino è il campo arato. Romolo è indicato come l’istitutore dei Fratres Arvales ossia di quella confraternita dedita ai sacrifici pubblici per stimolare nei campi la crescita delle messi.
Il culto era riferito alla dea Dia poi identificata con Cerere e i sacerdoti portavano sul capo una corona di spighe.
Il loro canto, che possiamo meglio denominare come cantilena sacrale, prendeva l’intitolazione di “carmen arvale” locuzione che presenta evidenti affinità di significato ed etimologiche con “carnevale”. I riti prevedevano l’incedere rituale “saltellante, tripodante o triumpante”.
La processione si teneva con “saltazione tre volte ripetuta” evento fra l’altro che evidenzia una spiccata similitudine con il modo di dire camuno riguardante la danza rituale “em fa tre salcc sol balaròt” ossia facciamo la danza con tre salti sul ballatoio.
E’ interessante infine notare come nelle rappresentazioni carnevalesche vi sia la presenza dell’aratura e dell’andatura caratterizzante le processioni appena descritte, effettuata dai personaggi mascherati. La stessa etimologia della maschera dell’Arlecchino, porta assonanze col termine “arvale” sottolineata dal radicale “ar” e presenta nello Zanni i caratteri tipici nel vestire dei sacerdoti vestiti di bianco.
Ed ecco che in uno spazio dedicatomi dalla Forneria Salvetti non poteva mancare un richiamo alla pasta e ai dolci infatti questa derivazione etimologica ci porta ad accantonare il primato della carne e degli insaccati per mettere a fuoco invece l’importanza del campo arato e delle sue coltivazioni cerealicole utilizzate nel produrre, una volta macinate, le pietanze e i dolci che sono alla base dei riti culinari del carnevale quali gli gnocchi e le chiacchiere.
Spero abbiate gradito! Alla prossima!
Germano Melotti
Studioso di tradizioni
“inter-valline ed usi tra-montani”
Via Roma 6
25040 Monno (BS)
Cell. 3493981228
Tutti i diritti sono riservati per eventuale utilizzo del testo citare rigorosamente la fonte e il nome “Germano Melotti”.